Nell’anno in cui l’Italia celebra i 150 anni della sua unità, la data del 17 febbraio acquista un significato particolare che come valdesi e metodisti italiani vogliamo sottolineare: ieri come oggi l’Italia unita è lo spazio nel quale siamo chiamati a vivere liberamente la nostra testimonianza di fede. Liberamente, senza costrizioni o condizionamenti come è avvenuto per secoli. I 150 anni alle nostre spalle hanno certamente coinciso con un lungo quanto incompiuto cammino della libertà religiosa, per noi come per altre confessioni di fede. Alcuni momenti di questo lungo cammino li abbiamo vissuti da soli, altri in compagnia di comunità religiose diverse dalla nostra o di importanti spezzoni della cultura e della politica italiana: l’emancipazione nel 1848; il consolidamento della presenza evangelica nell’età liberale, la sofferenza negli anni delle leggi speciali e sui "culti ammessi" approvate negli anni del fascismo, le lotte per la libertà religiosa negli anni ‘50 quando ancora alcune denominazioni evangeliche subivano gravi vessazioni, la battaglia per le Intese arrivate nel 1984 e quella, ancora non conclusa, per una piena attuazione dell’articolo 8 della Costituzione e per una moderna legge sulla libertà religiosa.
Le commemorazioni hanno un senso se si guarda al presente e al futuro, non al passato: ed è con lo sguardo rivolto in avanti che anche quest’anno vogliamo ricordare questo giorno che per noi ha significato una prima libertà civile dopo secoli di persecuzioni. Ma guardando in avanti vediamo una strada ancora in salita, in Italia e in troppe parti del mondo. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’impressionante escalation di violenza contro alcune chiese ma sappiamo bene che l’intolleranza religiosa non appartiene a una confessione soltanto e attraversa anche il cristianesimo e il protestantesimo. E mentre alcuni popoli scendono in piazza per rivendicare la loro libertà, proprio perché condividiamo le loro speranze e sosteniamo i loro diritti, ribadiamo che non può esserci vera libertà se non c’è libertà di espressione anche per le minoranze religiose, a qualsiasi confessione appartengano.
Ma lo sguardo su quello che accade dall’altra parte del Mediterraneo o in altri angoli anche più remoti del mondo non deve distrarci dalla nostra realtà italiana. In uno dei momenti più tristi e deprimenti della vita pubblica italiana, ci preoccupa il fatto che il Parlamento non trovi il tempo per approvare sei Intese che, oltre a essere costituzionalmente dovute, offrirebbero un’immagine più realistica del pluralismo religioso che si è affermato anche in Italia. Gli ortodossi sono oltre 800.000, i testimoni di Geova oltre 400.000, induisti e buddhisti all’incirca 200.000, i mormoni e gli apostolici alcune decine di migliaia: l’approvazione di un’Intesa non cambia magicamente la percezione che gli italiani hanno del valore del pluralismo religioso e della laicità dello Stato; almeno sul piano giuridico segna però un punto importante a favore della libertà di coscienza e di libera espressione della propria fede.
Ma quella per la libertà religiosa non è la nostra unica preoccupazione. Come italiani di fede evangelica abbiamo a cuore l’Italia, e il XVII Febbraio è per noi l’occasione di ribadire che il nostro paese ha un disperato bisogno di ritrovare le ragioni del suo patto civile, di ciò che unisce Sud e Nord, campagne e industria, centro e periferia, giovani e anziani, italiani da generazioni e «nuovi cittadini». Ha bisogno di trovare il suo progetto, un suo standard etico sia nel privato sia nel pubblico, un nucleo di principi che unisca, al di là delle giuste e necessarie contrapposizioni politiche proprie di ogni democrazia. Come credenti, insomma, non siamo affatto indifferenti al destino della città terrena in cui abitiamo: certo, il nostro sguardo non si esaurisce in essa ma ci sentiamo attivamente partecipi del suo destino e delle sue sofferenze. A volte l’Italia di oggi ci appare un paese stanco, cinico, lacerato, incattivito, incapace di pensare al futuro remoto perché non sa come affrontare il futuro più prossimo. L’Evangelo non ci dà una soluzione a questa crisi. Ci invita però a perseverare, a dichiarare il nostro scandalo, a essere sentinelle vigili, a stare dalla parte di chi soffre ed è emarginato, ad amare la libertà nostra e di tutti, a difendere i diritti della vedova, dell’orfano dello straniero, a preservare la creazione che Dio ci ha affidato.
Ci invita anche ad avere fiducia. Questo diremo il 17 febbraio, come cittadini e cittadine evangelici e come italiani.
Tratto da http://www.riforma.it/
Tratto da http://www.riforma.it/
1 commento:
va bene
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