Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 5 maggio, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 5 maggio, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9

10/08/2020

09 Agosto 2020 10^ Domenica dopo Pentecoste - 9^ Domenica dopo la Trinità

 

Accoglienza

Buongiorno a tutte e a tutti, il versetto che accompagna la decima domenica dopo Pentecoste è preso dall’evangelista Luca con questa frase: “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà”. (Luca 12 : 48)

Saluto (Dietrich Bonhoeffer)

Spirito Santo, donami la fede, che dalla disperazione, dalle brame e dai vizi mi salva; donami l’amore per Dio e per gli uomini, che estirpa ogni odio ed amarezza; donami la speranza, che mi libera dal timore e dallo scoraggiamento. Insegnami a conoscere Gesù il Cristo e a fare il Suo volere. Amen.

Lode

Dio nostro, i tuoi benefici in nostro favore sono davvero innumerevoli ed è per questo che noi esultiamo alla Tua presenza, in quanto, non potremo mai descriverli in modo adeguato, eppure tu ci affidi i tuoi talenti proprio perché possiamo raccontare le tue opere meravigliose e, mediante il sostegno del tuo Spirito, possiamo proclamare la tua salvezza ed il soccorso che ci hai donato in Cristo. Tutto quello che tu compi suscita in noi fiducia, ci libera e ci aiuta ad affrontare le difficoltà ed i problemi che a noi sembrano insolubili. Per questo ti lodiamo e veniamo a te, che ci incontri nella tua parola. Amen.

 

Ascolto della parola di dio

Preghiera di illuminazione

Signore Dio nostro, Tu ci chiami al Tuo servizio e ci colmi dei Tuoi doni. Ci permetti di impegnare le nostre forze e di spendere noi stessi, e quando l’abbiamo fatto ci accorgiamo che quello che riceviamo da Te è sempre più di quello che Ti abbiamo dato. Così agisce la Tua grazia. Illuminaci anche oggi con la Tua parola, in modo che possiamo uscire da questo culto fortificati, per riprendere a camminare sui sentieri sicuri che Tu apri davanti a noi. Amen.

 

 

Testo biblico

Geremia 1,  11 – 19   

 Poi la parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Geremia, che cosa vedi?» Io risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». E il Signore mi disse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per mandarla ad effetto».

La parola del Signore mi fu rivolta per la seconda volta: «Che cosa vedi?» Io risposi: «Vedo una gran pentola che bolle e ha la bocca rivolta dal settentrione in qua». E il Signore mi disse: «Dal settentrione verrà fuori la calamità su tutti gli abitanti del paese. Poiché, ecco, io sto per chiamare tutti i popoli dei regni del settentrione», dice il Signore; «essi verranno, e porranno ognuno il suo trono all’ingresso delle porte di Gerusalemme, contro tutte le sue mura all’intorno, e contro tutte le città di Giuda. Pronunzierò i miei giudizi contro di loro, a causa di tutta la loro malvagità, perché mi hanno abbandonato e hanno offerto il loro incenso ad altri dèi, e si sono prostrati davanti all’opera delle loro mani. Tu dunque, cingiti i fianchi, àlzati, e di’ loro tutto quello che io ti comanderò. Non lasciarti sgomentare da loro, affinché io non ti renda sgomento in loro presenza. Ecco, oggi io ti stabilisco come una città fortificata, come una colonna di ferro e come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda, contro i suoi prìncipi, contro i suoi sacerdoti e contro il popolo del paese. Essi ti faranno la guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti», dice il Signore.

 

Esposizione del brano biblico

 Questi versetti sono il dialogo tra il Signore e Geremia, dialogo che riguarda l’inevitabile messaggio che Geremia dovrà dare al popolo ribelle sul giudizio di Dio nei loro confronti, a motivo che…hanno infranto il patto con Lui e hanno disatteso le leggi e le promesse date ad Israele, questo dialogo si contraddistingue perché per ben due volte in questo testo, il Signore interpella Geremia chiedendogli cosa egli vedesse, lo fa perché vuole trasmettere un preciso messaggio al suo profeta attraverso due visioni ben precise; questo era un metodo che Dio usava spesso nell’Antico Testamento, il metodo è costituito dalla visione e dalla spiegazione della visione, in effetti, abbiamo letto che la Parola del Signore rivolgendosi a Geremia gli domanda: “Cosa vedi, Geremia?”. Geremia non deve solo ascoltare ma deve anche guardarsi attorno e descrivere la realtà che lo circonda per il motivo che la potenza di Dio racchiude la materia di cui il mondo è formato. E la Parola che nei versetti precedenti all’undici si era fatta nutrimento del corpo del profeta, ora si fa corpo essa stessa, dice a Geremia di guardarsi intorno perché la Parola si trova anche negli oggetti concreti che servono da messaggio, insegnamento e rivelazione…Geremia parlando dice: “Vedo un ramo di mandorlo” (ebraico shaqed, che significa vigilare), il quale non è altro che un frammento ordinario di realtà, nulla di prodigioso e sconvolgente; ma in quel ramo e in quei fiori in sé così normali, Geremia può cogliere Dio, questa presenza viva di Dio, ora gli parla e si rivolge ai suoi dubbi: “Pensi che il tuo compito sia impossibile? che tu, un essere umano così fragile non possa parlare a nome mio, perché solo Dio può parlare di Dio? Sappi che, se ho affidato a te la mia Parola, ‘io vigilo su lei per mandarla ad effetto’. Non dipende da te che il fiore del mandorlo sbocci nella sua stagione prima di ogni altro fiore e nello stesso modo non dipende da te che la mia Parola trovi la sua realizzazione nella storia.

E proprio della storia parla l’altra visione: “la grande pentola che bolle ed ha la bocca rivolta dal settentrione in qui”. Come quella “pentola”…tutta la terra “bolle” e Geremia sarà scaraventato nel cuore stesso di questo ribollire. Sì, il dolce interprete del “mandorlo fiorito” sarà gettato nella mischia dei popoli. Questa è la sua missione, il suo destino: “profeta delle nazioni”, sarà la sentinella avanzata di Dio, dovrà vedere prima di ogni altro l’irrompere furioso dei popoli del nord addosso alla sua gente e soffrirne per primo, lacerato fra un Dio condannato a punire il suo popolo che ama e condannato a subire quella punizione. “Guardo la terra: “è deserta e vuota” – saranno di lì a poco le parole della sua desolazione – “il cielo: la luna è scomparsa da esso. Guardo le montagne: tremano; tutte le colline sono scosse. Guardo: non ci sono più uomini, e tutti gli uccelli sono fuggiti. Guardo: il paese dei frutteti è un deserto, tutte le città sono incendiate dal Signore, dalla sua ira ardente” (cfr. 4, 23 seguenti.).
Sarà proprio così: Geremia prenderà su di sé, fin nelle viscere, i frammenti spezzati della disgregazione del suo popolo.

Ed il Signore porta un altro assalto, eccoci al terzo ruolo che Geremia è chiamato a vivere: dopo essere stato scelto come il predestinato a portare alle genti la Parola, dopo il veggente che guarda la realtà per capirla e farla capire, ecco il guerriero destinato ad affrontare il potere politico, quello religioso e l’opinione comune del suo popolo. Questo “ragazzo” timido, dovrà levarsi in piedi e fare della sua vita un fatto pubblico: “Tu dunque” – così gli viene detto – “cingiti i fianchi, alzati, e dì loro tutto quello che ti comanderò”.
Dopo l’autorità con cui l’ha costituito “sorvegliante dei popoli e dei re”, ora il Signore comunica a Geremia la libertà interiore ed esteriore che solo lui può dare. Così, il colloquio di Dio con Geremia non si chiude nell’interiorità ma, appunto, “in piedi!”, per annunciare a tutti la parola.
“Ti faranno la guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti”. Le parole finali della vocazione che Dio rivolge al suo giovane profeta ci dicono che la missione che gli viene affidata è fondamentalmente un “mandato a lottare ed a vincere”. Geremia non è chiamato a essere debole, ma forte; non ad essere un vinto, bensì un vincitore; non a morire ma a sopravvivere ad una dura guerra. Come abbiamo letto, Dio lo chiama a “cingersi i fianchi”, a fare il gesto di chi s’appresta a partire per un viaggio, o s’appresta a combattere… E ancora, e di più! Geremia è “stabilito come una città fortificata, come una colonna di ferro e come un muro di bronzo contro tutto il paese”! Davvero saldo e solido, dritto in piedi al cospetto della casa reale, nel tempio e nella strada.

Certo, quest’immagine forte e in qualche modo rude di Geremia contrasta con l’idea che abitualmente abbiamo di lui, come “il profeta delle lamentazioni e delle lacrime”. Ma appunto, è quest’idea che è sbagliata, così com’è sbagliato un’esaltazione malsana della sofferenza cristiana (o pseudo cristiana), che si compiace di vedere prima nei profeti, poi in Gesù stesso e nei suoi apostoli dei miti sconfitti e sofferenti…
Per Geremia in particolare si usa a volte la parola “passione”, la stessa che usiamo pensando alle sofferenze e alla morte di Gesù. Dobbiamo stare attenti ad evitare di introdurre in questa parola una nota di passività che invece non dev’esserci: “passione” ha in sé anche un significato forte, si riferisce all’essere “appassionati”. E Gesù e Geremia prima di lui, sono stati trascinati a lottare dalla loro passione per Dio. Sì, la loro passione è stata una lotta, una lotta all’ultimo sangue! E questa lotta, e la sofferenza che è legata alla lotta, questo (e qui chiaramente pensiamo soprattutto a Gesù) ha prodotto la salvezza! Noi non siamo salvati perché Gesù ha sofferto, ma perché ha lottato e per questo anche sofferto per salvarci!
In termini diversi, questo vale anche per Geremia. Dovrà gridare “contro tutto il paese” per far conoscere a “tutto il popolo” le decisioni che Dio ha preso “a causa di tutta la loro malvagità” e così, ancora una volta posto fra queste due totalità: da un lato “tutto il paese” e dall’altro tutto il peso dei “giudizi di Dio contro di loro”, così da trovarsi fatalmente al centro dello scontro. Per evitare questo, occorrerebbe infatti un compromesso che elimini qualcosa della drasticità della Parola, o qualcosa della drasticità del peccato degli uomini a cui la Parola è indirizzata. Ma questo “smussamento degli spigoli” non fa parte del progetto di Dio per il profeta. E allora, “i re di Giuda, i suoi principi, i suoi sacerdoti e il popolo del paese”, tutti, nessuno escluso, combatteranno contro Geremia e i quarant’anni del suo ministero saranno tempestosi e pieni di dolore.
Ma ciò non ci autorizza a parlare di lui in modo sbrigativo come del “profeta sofferente”. Qui si parla di un uomo assegnato a un progetto, il progetto di Dio, con la serena certezza (che certo avrà le sue incrinature, ma saprà superarle) che proprio lui, il suo Dio, lo aiuterà: “Io sono con te per liberarti, dice il Signore”. È la parola che chiude la sua vocazione… la parola che Geremia non dimenticherà mai, e sarà la sua forza nella sua debolezza…

Geremia disse: “La parola del Signore fu su di me…”.

Noi oggi potremmo ben dire: “La parola del Signore è su di noi”,

perché oggi quella Parola afferra anche noi e tutta la chiesa, e ci dice che anche noi possiamo essere profeti del Signore.
Sì, noi siamo affidati a questa Parola forte e scomoda, e chiamati a farla risuonare in tutta la sua scomodità. Se Geremia è stato un profeta per un tempo di crisi, il tempo della fine della libertà del suo popolo, anche noi siamo una chiesa in un tempo difficile, in questi ultimi anni abbiamo avuto molti segni del tramonto della nostra civiltà occidentale, e se bisogna dire tutto quello che Dio ci comanda di dire al “paese tutto intero”, dovremo anche noi affrontare dei conflitti.
A causa della sua predicazione, Geremia ha trascorso venti anni della sua vita da prigioniero, perché non ha voluto e nemmeno potuto camuffare nulla sia della Parola che annunciava, sia della realtà del mondo a cui l’annunciava. C’erano quei verbi: “sradicare, demolire, abbattere, distruggere”, che non potevano non suscitare le reazioni più dure, ma che andavano detti, perché solo così potevano diventare realtà gli altri due verbi “costruire e piantare”…
Ed è solo perché ha saputo proclamare con coraggio quei primi quattro verbi negativi che Geremia s’è mostrato concorde fino in fondo con coloro che per averli uditi dalla sua bocca gli si rivoltavano contro, l’odiavano e lo legarono con catene: solo così ha potuto creare le condizioni per la loro conversione e la loro ripartenza andando incontro al tempo in cui si può “costruire” e “piantare” il nuovo…
Così, quest’antico profeta solidale col suo mondo, chiama anche noi oggi alla solidarietà col nostro mondo: come è toccato a lui, così invita anche noi a vivere in tensione tra Dio e le sue esigenze…che poi sono le esigenze dell’amore…le esigenze del popolo a cui noi apparteniamo e le sue infedeltà.
E anche la nostra missione ha i suoi verbi negativi e i suoi verbi positivi. E che cos’è per noi oggi “distruggere” e “demolire”? E che cos’è per noi “piantare” e “costruire”?
Abbiamo tutti avvertito dentro di noi, e l’avvertiamo ancora, la crisi economica di questi ultimi mesi nonché questi ultimi anni che ci ha portato sino a questo punto: “un sistema che non funziona più”, ed è per questo motivo che dovremmo forse dire col coraggio che ci viene da Dio, che la sua Parola può contribuire a “demolire” la corsa al profitto e all’arricchimento più sfrenato per “costruirne” uno nuovo, più giusto e solidale, che abbracci il mondo intero e non pensi solo a rilanciare i paesi più ricchi.
Ma come possiamo portare noi questa Parola?

Innanzitutto con la predicazione…a tal riguardo, uno dei più rilevanti teologi del Protestantesimo del XVI secolo Heinrich Bullinger disse: “La predicazione della parola divina è Parola di Dio”(…) una predicazione deve essere insieme una critica dell’opera umana e un’apertura all’opera di Dio; che sia portatrice di un fuoco che distrugge…che sia cioè la “pentola bollente”…e sia anche ricca della promessa del Dio che veglia…cioè sia “ramo di mandorlo”…
Una predicazione così non può lasciarci indenni. Dobbiamo anche noi accettare la sfida di ritrovarci inevitabilmente al centro dello scontro tra la Parola scomoda di Dio che per costruire deve prima criticare ed abbattere, ed i nostri fratelli e sorelle in umanità che da questa parola sono criticati, giudicati, abbattuti, e perciò la contestano e perciò ci contestano, spesso ignorandoci… e non è affatto facile per una chiesa essere ignorata, e quanta frustrazione, quanto scoraggiamento tutto questo ci provoca!

In sostanza…predicare ci rimette continuamente in questione, e però al tempo stesso, il nostro lasciarci investire dalla Parola per poterla annunciare accresce la nostra fiducia… ci rinnova l’esperienza che “non ci vinceranno, perché il Signore è con noi per liberarci”…
Sconforto e fiducia… frustrazione ed impegno… è la nostra lotta al servizio di Dio, la nostra partecipazione alle sofferenze di chi subisce la distruzione e alla realizzazione di ciò che la Parola a cui siamo affidati, dopo avere distrutto, costruirà. Amen

 

AMEN

 

 

PREGHIERA DI INTERCESSIONE

Padre nostro, tu non dimentichi i deboli e i miseri; per loro vogliamo pregarti. Nel mondo vi sono tante vittime perché i doni che ci affidi per l’utile comune e per una giusta convivenza umana sono dimenticati o ignorati.

Dono tuo è la riconciliazione fra gli esseri umani. Ti preghiamo per le vittime dei conflitti; in particolare per le persone che sopravvivono con gravi mutilazioni, per le donne stuprate, per i bambini che crescono in un mare di odio e di violenza. Sostieni coloro che si adoperano per la riconciliazione, perché le vittime possano sperimentare che l’odio non ha l’ultima parola in questo mondo.

Dono tuo è la dignità degli esseri umani. Ti preghiamo per coloro cui viene negata questa dignità; in particolare per chi è costretto a vivere nei campi profughi, per chi è costretto a lavorare senza garanzie e senza protezioni. Sostieni le persone e i gruppi che si impegnano per ridare dignità a chi ha perso terra, casa, lavoro, salute.

Nella nostra attività quotidiana donaci fiducia e iniziativa, perché mettiamo a profitto i doni che ci hai affidato, per la testimonianza al tuo evangelo e per il servizio al nostro prossimo.

E poiché il nostro impegno ha la sua forza soltanto in te e nella tua azione, ti preghiamo come Gesù ci ha insegnato:

“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori. E non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno, perché tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.” Amen

 

INVIO  (2° Corinzi 4,  13 – 14)

Noi parliamo con franchezza di ciò che crediamo (fiduciosi che Dio agisce per noi), proprio come dice il Salmo: «Ho creduto, perciò ho parlato». Noi pure crediamo e perciò parliamo. Siamo convinti infatti che lo stesso Dio che resuscitò il Signore Gesù, resusciterà anche noi insieme con Gesù, e con voi ci farà comparire alla sua presenza”.

 

BENEDIZIONE   (Filippesi 4,  19 – 20)

Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno, secondo la sua gloriosa ricchezza, in Cristo Gesù. 20 Al Dio e Padre nostro sia la gloria nei secoli dei secoli”. Amen

 

(Giampaolo Castelletti, domenica 9 agosto 2020. Tutte le citazioni bibliche, salvo il testo biblico di Invio, sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, a cura della Società Biblica di Ginevra, prima edizione 1994).

 

 

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