Culti

Verbania - C.so Mameli 19
Domenica 5 maggio, Tempio di Intra, dalle h.10 momenti di preghiera e canti, Culto alle h. 11 con Cena del Signore

Omegna - Via F.lli Di Dio 64
Domenica 5 maggio, Tempio di Omegna, Culto alle h. 9

10/04/2020

GIOVEDI' SANTO, 09 APRILE 2020


Tutte e tutti noi sappiamo che, la tradizione cristiana, in questa settimana si ricorda la sofferenza di Gesù, ed è per questo motivo che, la ragione principale per la quale in questi giorni ci vengono riproposti i testi biblici sulla Passione di Gesù, cioè la via che porta alla mattina di Pasqua e alla risurrezione è una sola, questa via passa per il Giovedì Santo e il Venerdì Santo, che la tradizione ricorda quale: “La lavanda dei Piedi” e l’“Ultima Cena”, che sancisce anche l’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli, dopo di che, come dice la scrittura avverrà la cattura di Gesù, quindi, una strada che passa obbligatoriamente per Giovedì, Venerdì e Sabato, se non comprendiamo meglio questi giorni, non comprenderemo nemmeno la Pasqua; nella mentalità odierna si cerca di “avere tutto e subito”, arrivare al successo senza passare per la porta stretta, se usassimo questa mentalità anche per la Pasqua, nel senso di non passare per il “Calvario” (Golgota), ecco che perderemmo il senso della presenza di Cristo nella nostra vita.
Questa sera lascerò che sia lo scritto del Pastore Alessandro Esposito a condurci per mano in questa prima serata dedicata alla “Lavanda dei Piedi” con il testo di Marco capitolo 14 versetto 32 e poi i versetti da 35 a 36 interamente tradotti dall’ebraico e la sua predicazione.

E vengono in un campo, chiamato Getsemani. E dice ai suoi discepoli: “Sedete qui, fin quando preghi” (...) Ed essendo andato un po' più avanti, si gettò a terra e pregava perché, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. E diceva: “Abbà, Padre, tutto ti è possibile: allontana da me questo calice. Pure, non come voglio io, ma come Tu vuoi”
(Marco 14:32.35-36)

Cammina, Gesù, come ha fatto sempre. Lo fa insieme con le donne e con gli uomini che da tempo, ormai, lo seguono in questo perenne itinerare. Soltanto il paesaggio è cambiato: dalle aperte campagne della Galilea al cielo chiuso di Gerusalemme, stretto fra i muri dei vicoli. Senso di soffocamento, di oppressione: mura che restringono la libertà dello sguardo e dei movimenti. Gesù si sente animale in gabbia dentro la città: e allora decide di uscirne, di andare in cerca di quella terra profumata che per lui è tutto: è cresciuto tra i suoi odori; quelli artificiali della città non gli appartengono, lo nauseano. Cerca rifugio tra gli ulivi antichi, tra i loro tronchi nodosi, che recano come ferite i segni del tempo. Corre là, a sentire la frescura della notte, a percepire la brezza che accarezza i rami e gioca con le foglie. Sa che tra quegli alberi potrà udire più distintamente la voce silenziosa di Dio, le vibrazioni con cui il suo cuore sobbalza per poi, d'improvviso, acquietarsi. Ha bisogno d'aria, Gesù; di quel vento della sera che gli accarezza il volto e i ricordi; di quelle tenebre che proteggono le nostre solitudini quando anche nel cuore, piano, si fa notte. Ed è notte nel cuore di Gesù, ed è solitudine.
Esce con i suoi da Gerusalemme; ma da solo va incontro a quel buio che gli altri, ancora, non vedono. Solo: perché soli stiamo dinanzi a Dio quando il cerchio della vita sta per stingersi. Solo: perché ci sono luoghi dell'anima, istanti dell'esistenza, in cui non c'è spazio se non per Dio e per il Suo silenzio dentro di noi.

Giunti in quel podere carico di fragranze, Gesù chiede ai suoi di sedersi: che lo attendano là. Lui ha bisogno di ritagliarsi i suoi istanti con Dio, di stare un po' con Lui, con Lei: senza interferenze, stretto come in un abbraccio intimo e segreto. Soli, come si desidera stare con l'amato. Allora va un po' più avanti, si inoltra tra gli ulivi, tra le figure che i rami disegnano per terra, nella notte, quando la luna intesse con loro la sua trama d'ombre e di luce. Così, tra luce ed ombra, Gesù va incontro a Dio: e cerca di afferrare la Sua voce nel respiro della sera.

Ecco che però, avanzando a passi lenti, pesanti, d'improvviso Gesù cade a terra: è prostrato, nell'animo prima che nel corpo, e lascia che Dio lo veda in tutta la sua fragilità. Non ne ha vergogna, non si nasconde, non simula; sa che dinanzi a Lui può mostrarsi così com'è: smarrito, sopraffatto dalla paura e dalla tristezza. Sa che Dio non gli rinfaccerà questa sua debolezza. Anzi: gli aprirà le braccia, lo accoglierà in grembo, lo conforterà. Così: nudo, spogliato di sé, Gesù si getta a terra come tra le braccia di Dio. E tutt'intorno è silenzio: solo il canto del vento tra le foglie, solo la notte che bisbiglia.
Nell'orto del Getsemani, alle porte di Gerusalemme, Gesù e Dio sono stretti in un abbraccio notturno: l'ultimo, prima che le tenebre scendano a coprire ogni bagliore, ogni scampolo di luce.

Sussurra Gesù, non grida: appena muove le labbra per dar voce alla sua supplica. “Padre”, chiama quel suo Dio amato, nel quale ha riversato, come acqua in un otre, tutta la propria vita, “Padre”, gli dice, quasi a volerlo commuovere, a domandargli ragione di quello che gli sembra, ormai, un destino inevitabile. Soffre Gesù, e il volto gli si riga di lacrime: “Passi da me questo calice, Padre! Traghettami al di là di quest'ora cupa, di questo dolore che mi stringe l'anima come in una morsa. Tendi verso di me il Tuo braccio e soccorrimi: non abbandonarmi negli istanti interminabili della mia angoscia. Mai come oggi Ti ho avvertito lontano e mai così vicino da percepirti come un palpito, uno sfiorarmi di dita invisibili a lenire quel dolore che, in silenzio, mi divora. Tu, assente presenza, orma impressa sulla sabbia del cuore che, muta, dice del Tuo passaggio. Tu, come vento tra le foglie di questi ulivi: lieve canto notturno, carezza della sera. Ti avverto, invisibile e intenso, come l'Amore: intima, inconfessabile certezza del cuore”. Parla Gesù, stretto al Padre: nell'ora del suo smarrimento lo chiama, ne va in cerca. Non attende risposta, non gli rinfaccia il silenzio: semplicemente, gli confida il suo dolore, il timore che lo invade tra le pieghe dell'anima. Non gli chiede nient'altro che ascolto: muta, intensa presenza, invisibile agli occhi, percepibile al cuore.

L'ora s'avvicina: Gesù lo sa, lo avverte. Come accade all'animale braccato che d'improvviso comprende di non aver più scampo. Vengono a prenderlo, come si fa con i malfattori. Vengono a gridargli, muta, la loro rabbia, l'insofferenza che ingenerano in loro le sue parole irriverenti, i suoi insegnamenti scomodi, la sua indigesta pietà.
Lo metteranno a tacere, non potrà più nuocere. Eppure, in quella brezza notturna, in quel sussurro del vento tra le foglie, Gesù intuisce, come d'incanto, che non c'è bavaglio in grado di sopprimere una voce. Quanto ha detto impregna l'aria e altri cuori: quanto ha annunciato gli sopravvivrà. Danzerà, in spazi aperti e irraggiungibili, l'eco della sua parola: si introdurrà nelle insenature dell'anima, attraverserà, in segreto, i mari e percorrerà, in fragoroso silenzio, le terre al di là dell'orizzonte.
Dà le spalle a Gerusalemme, Gesù, mentre si abbandona all'abbraccio del Padre. Allora, lento, si volta ad osservare il volto notturno della città antica: persino lei sembra dormire in pace. Poi, alza di nuovo lo sguardo al cielo, muta carezza sugli occhi: e sembra scorgere il volto di Dio dietro i rami, a varcare la notte. Sorride Gesù a quella timida promessa d'aurora, a quel tiepido raggio di sole che schiude, come un fiore, le sue labbra:

“L'ora è giunta, Padre: e trema l'anima mia al pensiero di non udire più il canto del vento, di non tornare a sentire la carezza della sera. Mi invade la nostalgia di questa terra che esala profumi, delle voci amiche che hanno vinto la mia solitudine, di quei volti amati a cui mi lega il misterioso laccio del ricordo. E sorrisi, e lacrime: mani che s'intrecciano, piedi impolverati e l'odore del sole sulla pelle.
Questo e altro che dire non so è ciò che piango questa notte: questo quanto il cuore non si rassegna a lasciare, questo lo strappo che avverto nell'intimo e che colma l'anima di una tristezza ignota, di uno sconforto muto. Ecco perché mai come questa notte, Padre, ho desiderato la vita, quella stessa che, un giorno lontano, Tu mi hai donata. Pure, non come voglio io, ma come Tu vuoi”.

[Predicazione per il Giovedì di Passione – 9 aprile 2020]



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