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25/02/2011

La Tavola Valdese ricevuta al Quirinale

Intervento della pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese

In occasione della ricorrenza del 17 febbraio 1848, quando re Carlo Alberto emanò le regie patenti che riconoscevano i diritti civili ai valdesi, e in concomitanza con le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale la Tavola Valdese nelle persone della pastora Maria Bonafede, Moderatore e di Daniela Manfrini, vice Moderatore.
All'incontro hanno partecipato la presidente e il vice presidente dell'Opera per le Chiese metodiste in Italia, il decano della Facoltà valdese di teologia e il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.
Riportiamo di seguito il testo del discorso tenuto da Maria Bonafede

Signor Presidente,

Le siamo grati perché ha inteso ricevere questa delegazione all'indomani del 17 febbraio data in cui ricordiamo l’uscita dal ghetto, mentre il nostro paese celebra i 150 anni della sua unità.

Nel 2011 il 17 febbraio acquista un significato particolare che come valdesi e metodisti italiani vogliamo sottolineare: l'Italia unita è lo spazio nel quale da sempre noi valdesi e metodisti ci siamo sentiti chiamati a vivere liberamente la nostra testimonianza di fede.

Liberamente, senza costrizioni o condizionamenti come purtroppo è avvenuto per secoli. I 150 anni alle nostre spalle hanno certamente coinciso con un lungo cammino della libertà religiosa, per noi come per altre confessioni di fede. Alcuni tratti di questo cammino li abbiamo percorsi da soli, altri in compagnia di comunità religiose diverse dalla nostra – prima tra tutte quella ebraica - e di importanti spezzoni della cultura e della politica italiana. Ci permetta di ricordarne le tappe essenziali: l'emancipazione nel 1848; il consolidamento della presenza evangelica nell'età di liberale, la sofferenza negli anni delle leggi speciali e sui “culti ammessi” approvate negli anni del fascismo; le lotte per la libertà religiosa negli anni '50 quando ancora alcune denominazioni evangeliche subivano gravi vessazioni; la battaglia per le intese finalmente approvate nel 1984 e quella, ancora non conclusa, per una piena attuazione dell'articolo 8 della Costituzione e, infine, per una moderna legge sulla libertà religiosa sostitutiva delle norme fasciste del 1920 e 1930.

Le commemorazioni hanno un senso se si guarda al presente e al futuro, non al passato: ed è con lo sguardo rivolto in avanti che anche quest'anno vogliamo ricordare questo giorno che per noi ha significato una prima libertà civile dopo secoli di persecuzioni. Ma guardando in avanti vediamo una strada ancora in salita, in Italia e in troppe parti del mondo. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un'impressionante escalation di violenza contro alcune chiese del medio oriente e del Nord Africa, ma sappiamo bene che l'intolleranza religiosa non appartiene a una confessione soltanto ed attraversa anche il cristianesimo. E mentre alcuni popoli scendono in piazza per rivendicare la loro libertà, proprio perché condividiamo le loro speranze e sosteniamo i loro diritti, ribadiamo che ogni vera libertà civile si accompagna necessariamente a una piena libertà religiosa e di coscienza, per i credenti come per chi non crede o crede in termini non convenzionali.

In questo spirito abbiamo proposto che il 17 febbraio, quando ricorre anche il supplizio di Giordano Bruno, possa essere istituito come giornata nazionale per la libertà religiosa e di coscienza.
Il tema è di scottante attualità in varie parti del mondo, ma non è risolto neanche in Italia.

In uno dei momenti più difficili e deprimenti della vita pubblica italiana, difatti, ci preoccupa il fatto che il Parlamento non trovi il tempo per approvare sei intese che, oltre ad essere costituzionalmente dovute, offrirebbero un'immagine più realistica del pluralismo religioso che si è affermato anche in Italia. L'approvazione di un'intesa non cambia magicamente la percezione che gli italiani hanno del valore del pluralismo religioso e della laicità dello Stato ma, almeno sul piano giuridico, segna però un punto importante a favore della libertà di coscienza e di libera espressione della propria fede.

Allo stesso tempo ci preoccupa la difficoltà a impostare temi di grande delicatezza come quelle legati alla fine della vita o alla fecondazione medicalmente assistita. Su queste materie sulle quali il nostro Sinodo ha ampiamente riflettuto, per noi è importante salvaguardare il fondamentale principio della laicità delle istituzioni e quindi della distinzione tra le competenze dello Stato e quelle delle comunità di fede, compresa quella di maggioranza. Tropo spesso, invece, ci è sembrato di dover rilevare la disattenzione del corpo politico - non sappiamo se per calcolo o per precisa convinzione - a questo supremo principio costituzionale. Il problema ci sta a cuore come protestanti, certo, ma anche come cittadini consapevoli che solo una solida e matura laicità dello Stato può garantire la libertà di chi crede e di chi non crede.

Quelle per la libertà religiosa e la laicità non sono le nostre sole preoccupazioni. Come italiani di fede evangelica abbiamo a cuore l'Italia, e il 17 febbraio è per noi l'occasione di ribadire che il nostro paese ha un disperato bisogno di ritrovare le ragioni del suo patto civile, di ciò che unisce sud e nord, campagne e industria, centro e periferia, giovani e anziani, italiani da generazioni e "nuovi cittadini".

Ha bisogno di trovare il suo progetto, il senso dell'etica pubblica che non può mai prescindere da quella privata, quel nucleo di principi che unisce tutti e tutte al di là delle giuste e necessarie contrapposizioni politiche proprie di ogni democrazia. Anche come credenti, insomma, ci sentiamo legati al destino della città terrena in cui abitiamo: certo, il nostro sguardo non si esaurisce in essa ma ci sentiamo attivamente partecipi del suo destino e delle sue sofferenze.

Confessiamo, signor Presidente, che a volte l'Italia di oggi ci appare un paese stanco, chiuso in se stesso, impaurito, incapace di pensare al futuro perché non sa come affrontare le sfide di oggi.
L' Evangelo non ci dà una soluzione a questa crisi. Ci invita però a perseverare, a gridare il nostro scandalo, ad essere sentinelle vigili, a stare dalla parte di chi soffre ed è emarginato, ad amare la libertà nostra e di tutti, a difendere i diritti della vedova, dell'orfano dello straniero, a preservare la creazione che Dio ci ha affidato. Ci invita anche ad avere fiducia.
E per questo, signor Presidente, continueremo a rendere la nostra testimonianza nella verità che abbiamo conosciuto in Cristo: una verità che ci ha liberato dalle superstizioni, dalla rassegnazione, dalla paura. E nel nostro servizio a questa verità che libera, siamo convinti di potere contribuire al bene del paese. Lo facciamo laicamente, senza chiedere alcun privilegio ma pronti a contribuire al dibattito pubblico sui temi che ci coinvolgono e ci interrogano anche come credenti.
Grazie Signor Presidente, per averci dato la possibilità di esprimere queste nostre preoccupazioni e queste nostre considerazioni.

18 febbraio 2011- Palazzo del Quirinale
Dal sito ufficiale della Chiesa Valdese: http://www.chiesavaldese.org/pages/archivi/index_commenti.php?id=1207

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