La drammatica e dura repressione di questi giorni in Libia, dove è scoppiata la rivolta contro il regime di Gheddafi, rimette in primo piano, e in modo dirompente, la questione dei rapporti Italia-Libia, ma anche i rapporti tra Libia e comunità internazionale. Lo scenario del Mediterraneo è mutato radicalmente in poche settimane e questo richiederà senza dubbio un ripensamento profondo e radicale delle politiche finora portate avanti dall'Italia e dall'Unione Europea anche in tema di immigrazione.
Rivolte di piazza, feriti, morti, scontri, mercenari africani probabilmente reclutati dal regime per sparare sulla folla, defezioni nell'esercito di chi si rifiuta di assecondare la ferocia del tiranno e si unisce ai manifestanti, queste sono le immagini e le notizie che vengono dalla Libia, corrono veloci e ci raggiungono come ammonimento perché nessuno possa dire “io non sapevo”.
L'Italia da anni rivendica il ruolo strategico della Libia nell'area mediterranea e i rapporti privilegiati di cooperazione con il dittatore africano. Il nostro Paese non è soltanto uno dei principali partner commerciali della Libia, ma anche il maggiore esportatore di armamenti, senza dimenticare che ¼ del petrolio italiano viene fornito dalla Libia.
La Libia è diventata da anni un punto di passaggio quasi obbligato per i migranti che dalle regioni periferiche dell'Africa o anche dell'Asia vogliono raggiungere l'Europa e l'Italia, un partner strategico nella “lotta all'immigrazione clandestina”, come si legge nel “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” con la Libia che il Senato, dopo un iter velocissimo, ha approvato quasi all'unanimità, il 3 febbraio 2009. Il trattato, siglato il 30 agosto 2008 da Berlusconi e Ghedaffi, è il risultato di 10 anni di negoziati dei diversi governi che si sono succeduti nel nostro Paese. I diritti umani sono sempre restati a margine, se non del tutto esclusi, dall'agenda diplomatica di entrambi i paesi. Il Governo e il Parlamento italiani non sembrano essersi preoccupati di questo durante i negoziati e in sede di ratifica dell'accordo, nonostante le gravi violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia siano ampiamente documentate: torture, detenzione arbitraria, espulsioni, violenze, arresti indiscriminanti, abusi verso donne e minori.
Gli effetti del trattato sciagurato li abbiamo visti: persone in fuga da guerre e povertà sono state respinte in Libia come pacchi scomodi di cui disfarsi rapidamente. Molte di quelle persone respinte dal governo italiano hanno tentato ancora di raggiungere l'Europa cambiando rotta e da mesi sono sequestrate dai trafficanti nel deserto del Sinai.
Oggi il popolo libico è in rivolta, chiede libertà, riforme e una vita dignitosa, mentre il tiranno tira dritto e afferma di resistere e andare avanti fino alla morte.
Ma sappiamo bene che non è solo questione di immigrazione: l'aspirazione alla libertà di popoli oppressi si intreccia drammaticamente con gli interessi politici ed economici, con i silenzi e le complicità di tutta la comunità internazionale, e le posizioni che essa prenderà saranno il banco di prova anche delle nostre democrazie.
Mentre l'ONU chiede la fine immediata delle violenze e della repressione, e attraverso l'Alto Commissario per i Diritti Umani, Navy PiIllay, un'inchiesta internazionale sulle violenze libiche e giustizia per le vittime, noi chiediamo con forza in queste drammatiche ore che il Governo Italiano esprima senza indugi una netta condanna della brutale repressione in Libia e che pretenda la cessazione degli attacchi alla popolazione civile. L'Italia, che da anni gioca un ruolo strategico nei rapporti tra la Libia e l'Unione Europea, deve chiedere l'immediata e incondizionata fine della violazione dei diritti umani, insieme alla sospensione della fornitura di armi e munizioni.
Quello che succede sulla sponda sud del Mediterraneo ci riguarda e ci interpella e auspichiamo che l'Italia possa trovare il coraggio di invertire la rotta, anche cambiando strategia sull'immigrazione per iniziare un confronto costruttivo che può avvenire solo a partire dal riconoscimento che la dignità umana è inviolabile e che va data accoglienza dignitosa alle persone in fuga da persecuzioni, guerre e povertà.
Abbiamo oggi la grande opportunità di voltare pagina, se non cadiamo nella trappola della strategia della paura: agitare lo spettro dell'invasione di migliaia di migranti in arrivo sulle nostre coste è disumano, oltre che inutile e dannoso, e serve a chi in questi anni ha fatto affari con i dittatori. Abbiamo la grande opportunità e la responsabilità di sostenere e stare accanto a chi in Algeria, Tunisia, Yemen, Libia e in altri paesi, rompendo il circuito della paura, ha sfidato la dittatura per chiedere il diritto di vivere in dignità (nev-notizie evangeliche 08/11).
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